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Rumeni Xm24
Un sgombero molto duro, con le ruspe, nel giro di poche ore una settantina di rumeni si trovarono senza casa. Una prima soluzione: lo spazio sociale Ex Mercato 24 in via Fioravanti

autore Teleimmagini
email teleimmagini@insiberia.net
citta' bologna
data 22/07/2003

nome del file ngv_bo_ita_20030310_rumenidvx5_c.avi
durata 00:12:21 (hh:mm:ss)
cd 30
grandezza 73.29 Mb
lingua it
mime type avi divx (video/avi)

Bologna, settembre 2002:
un gruppo di cittadini rumeni che vivevano in baracche lungo le rive del fiume Reno viene sgomberato dalla Polizia. Un sgombero molto duro, con le ruspe che spianarono tutte le baracche in cui vivevano le persone. Nel giro di poche ore una settantina di rumeni si trovarono senza casa. Una prima soluzione venne trovata nei locali dello spazio sociale Ex Mercato 24 in via Fioravanti dove i rumeni vennero ospitati per circa un mese. La situazione continuava però a non essere gestibile, anche perché queste persone vivevano ammassate in un unico stanzone, quindi gli italiani che avevano seguito la questione, insieme agli stessi rumeni, presero la decisione di occupare a metà ottobre un Ferrhotel inutilizzato da anni.

Cosi' e’ nato lo Scalo Internazionale Migranti, un luogo fisico ma anche un progetto contro la legge Bossi Fini, dove italiani e rumeni hanno sperimentato in questi mesi diversi percorsi per costruire ipotesi di cittadinanza nel tessuto sociale della nostra città.

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Interviste raccolte in Via Casarini 23
A cura della redazione del Progetto Melting Pot Europa
20 giugno 2003

Domanda: Kostantin, da quanto tempo vivi in Italia?

Risposta: Da due anni.

D: E a Bologna?
R: Da due anni, ci sono venuto direttamente dalla Romania.

D: Dove abitavi prima di stare allo Scalo?
R: Lungo il fiume Reno, in una casa abbandonata. Poi in una frazione di Crevalcore che si chiama Ronchi, dove dopo un po’ è arrivata la Polizia a sgomberare. Il 18 gennaio del 2002 sono tornato nelle baracche lungo il fiume Reno.

D: E vi hanno distrutto le baracche.
R: Sì, nel settembre del 2002 ho subito un altro sgombero insieme a circa altri 50 rumeni a cui hanno distrutto le baracche. Poi siamo venuti in Fioravanti, dove abbiamo abitato abitato un po’ e ora sto in Via Casarini.

D: Lavori?
R: Sì, faccio il manovale di muratore.

D: E’ un lavoro regolare?
R: Sì.

D: E adesso stai aspettando il rilascio del permesso di soggiorno?
R: Sì, il permesso di soggiorno rappresenta il nostro futuro, quello della nostra famiglia e dei nostri bambini. Lo aspettiamo come un giorno di festa. Però si vedrà, perché con la legge Bossi Fini siamo messi male.

D: Una volta regolarizzato, quali sono i tuoi desideri?
R: Il mio primo desiderio è portare qua la mia famiglia, ma prima devo trovare una casa in affitto. Ma con il mio stipendio non riesco a vivere e mantenere la famiglia a meno che non trovi un appartamento con un affitto di 550 o 600 euro. Così potrei portare mia moglie, i bambini e poi trovare un lavoro anche per mia moglie.

A Fulvia e Lorenzo abbiamo chiesto le ragioni che stanno alla base dell’occupazione dell’ex Ferrhotel.

R: L’occupazione dello Scalo comincia questo autunno quando un gruppo di cittadini rumeni che vivevano in baracche lungo le rive del fiume Reno viene sgomberato dalla Polizia. Un sgombero molto duro, con le ruspe che spianarono tutte le baracche in cui vivevano le persone. Nel giro di poche ore una settantina di rumeni si trovarono senza casa. Una prima soluzione venne trovata nei locali dello spazio sociale Ex Mercato 24 in via Fioravanti dove i rumeni vennero ospitati per circa un mese. La situazione continuava però a non essere gestibile, anche perché queste persone vivevano ammassate in un unico stanzone, quindi gli italiani che avevano seguito la questione, insieme agli stessi rumeni, presero la decisione di occupare a metà ottobre un Ferrhotel inutilizzato da anni.

D: Prima dell’occupazione erano state cercate soluzioni insieme alle amministrazioni locali?
R: Le istituzioni locali sono state continuamente sollecitate a trovare delle soluzioni alternative dignitose. Questo non è avvenuto. I contatti sono stati periodici con un continuo sollecito da parte nostra a trovare situazioni abitative vere che non fossero posti occupati o luoghi di vita in comune. Si è chiesto più volte all’amministrazione di mettere a disposizione appartamenti a prezzi accessibili a famiglie immigrate che hanno uno stipendio ridotto.

D: Dopodiché si è proceduto ad occupazione. Quali sono stati i problemi affrontati ad occupazione avvenuta?
R: Con una serie di manifestazioni abbiamo chiesto condizioni minime di abitabilità, ovvero l’attacco di luce e gas che, a tutt’oggi, non ci sono ancora. La luce è attualmente fornita da un generatore e abbiamo passato un inverno senza riscaldamento e senza la possibilità di cucinare se non utilizzando bombole a gas, cosa che rende la situazione piuttosto pericolosa. Questo dimostra la totale estraneità delle istituzioni nonostante le numerose manifestazioni e le richieste continue.

I temi su cui l’assemblea di autogestione dello Scalo si è impegnata in modo concreto sono numerosi, e sono stati affrontati pensando e sviluppando attività nell’ottica di contrastare la creazione di un luogo di emarginazione ed isolamento:

R: Uno degli interventi realizzati è stato l’inserimento scolastico dei bambini rumeni, oltre che la scuola auto organizzata dagli italiani all’interno dello scalo. In un secondo momento abbiamo proceduto all’iscrizione in massa delle donne di Via Casarini a scuole di italiano, che però ci hanno posto numerosi sbarramenti dato che molte di loro sono clandestine. Abbiamo anche indetto una serie di dibattutiti sul tema della casa tentando di collegare la situazione del Scalo ad altre realtà cittadine di immigrati che vivono lo stesso problema, abbiamo messo in piedi una piattaforma sulla casa. Inoltre abbiamo affrontato la situazione sanitaria e medica grazie all’ aiuto dei medici dell’associazione Sokos. Da circa un mese le donne si incontrano una volta alla settimana nell’assemblea delle donne, dove con difficoltà si è in parte riusciti a superare le barriere che bloccano il coinvolgimento diretto delle donne nelle attività del posto. Insieme parliamo di una serie di problemi rispetto alla sanità, ma anche di questioni più politiche come ad esempio i CPT per i quali abbiamo scritto insieme dei volantini. Quello che tentiamo di fare è di non farci rinchiudere in un ghetto, di uscire dall’emarginazione. La vita nello Scalo è durissima, però non è assolutamente triste.

Da un Ferrhotel dismesso ad una comunità di italiani e rumeni che vuole garantire il rispetto della dignità delle persone migranti, lo Scalo Internazionale Migranti è diventato anche la sede del Cantiere, un ufficio dei diritti aperto a tutti i migranti della città ogni giovedì dalle 7 alle 9 di sera.

Abbiamo chiesto al Dott. Antonio Curti, medico dell’associazione Sokos, come si articola l’attività del Cantiere.

R: Nel Cantiere si ritrovano ogni giovedì medici, avvocati, operatori, persone che hanno voglia di partecipare a questa esperienza con l’intento di affrontare da un lato i problemi che quotidianamente vengono alla luce all’interno dello Scalo rispetto alle persone che vi abitano, dall’altro per impostare progetti che partendo dallo Scalo si rivolgano alla città per affrontare altre situazioni.

D: Quali sono gli aspetti su cui interviene il Cantiere?
R: Come medici dell’associazione Sokos cerchiamo di dare risposta alle problematiche sanitarie, che spesso sono problemi acuti. Cerchiamo anche di impostare un minimo di prevenzione, ad esempio ci sono bambini, donne incinta o che hanno appena partorito, quindi affrontiamo tutte quelle problematiche legate alla condizione materno infantile in generale.

Per quanto riguarda invece l’attività di assistenza legale del Cantiere, abbiamo parlato con l’Avvocato Anna Tonioni.

D: Che tipo di informazioni danno gli Avvocati del Cantiere?
R: Principalmente le informazioni riguardano in quest’ultimo periodo la Sanatoria. Molti lavoratori infatti non hanno assolutamente idea del percorso della sanatoria o ne hanno perso le tracce. Si danno però informazioni su tutto quello che riguarda gli immigrati, che può andare dal permesso di soggiorno a episodi di incidenti stradali, qualsiasi tipo di sostegno legale ci venga richiesto. Alcune volte si ritengono soddisfatti delle informazioni date e procedono poi autonomamente, altre volte tutto questo ha anche un seguito. Se ad esempio ci sono problemi legati al lavoro li indirizziamo verso il sindacato. Per alcuni abitanti dello Scalo ci siamo occupati di udienze di convalida del trattenimento e di opposizione ai decreti di espulsione. Al cantiere non vengono però solo rumeni ma anche cittadini di altre nazionalità – marocchini, tunisini, un paio di peruviani, un senegalese – e si sta progressivamente allargando la composizione degli utenti di questo cantiere, anche se chiaramente il processo è piuttosto lento. In generale i problemi per cui si rivolgono a noi sono molto vari.

Una settimana dopo queste interviste, lunedì 9 giugno, gli abitanti dello Scalo insieme agli abitanti del CPA Arcoveggio, hanno fatto una manifestazione fino a Palazzo d’Accursio, dove sono entrati per chiedere un confronto con il Comune. Una delegazione ha ottenuto un incontro con l’assessore all’Urbanistica Monaco, che alle richieste dei rumeni ha risposto impegnandosi per l’ennesima volta ad avviare una discussione con Trenitalia Spa, proprietaria dell’immobile di Via Casarini, mentre ai marocchini - che a giorni saranno sgomberati dal centro di prima accoglienza - ha rinnovato la disponibilità, gia comunicata dieci giorni prima, ad avviare una tavolo di discussione con la Prefettura. Peccato che questa sia la stessa risposta che i rumeni ricevono da otto mesi.

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