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S'era tutti sovversivi - dedicato a Franco Serantini
“Insomma, s’era tutti sovversivi, rispetto all’Italia di allora”: ha fatto bene il regista Giacomo Verde a scegliere questa dichiarazione d’intenti, per dare il titolo al video che racconta la vita e la morte dell’anarchico ucciso dalla polizia a Pisa

autore Giacomo Verde
email info@verdegiac.org
citta' pisa
data 23/11/2005

nome del file ngv_pi_it_20050927_s_era_tutti_sovversivi_dedicato_a_franco_serantini.avi
durata 00:56:39 (hh:mm:ss)
cd 81
grandezza 650 Mb
lingua it
mime type avi divx (video/avi)

Produzione:
BIBLIOTECA FRANCO SERANTINI archivio e centro di documentazione di storia sociale e contemporanea Pisa / BFS EDIZIONI soc. coop. a r. l.

Il giovane anarchico Franco Serantini mori' nel carcere di Pisa, la mattina del 7 maggio 1972, a causa delle botte ricevute durante il suo arresto. Lo presero sui lungarni, al margine degli scontri per la manifestazione organizzata da Lotta Continua contro il comizio del "fascista" Niccolai. I poliziotti colpevoli della sua morte non vennero mai individuati e condannati. A Pisa e' una storia che tutti conoscono e a trenta anni da quei fatti il video cerca di ricostruire, attraverso diverse testimonianze e i materiali degli archivi della Biblioteca Franco Serantini, "l'aria che tirava" in quei primi anni '70 e i momenti centrali della vicenda: che musica si ascoltava, l'organizzazione del Mercato Rosso, l'attivismo politico, gli scontri con la polizia e la figura di Franco attraverso il racconto di chi lo conosceva.

http://www.verdegiac.org/sovversivi/

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“Insomma, s’era tutti sovversivi, rispetto all’Italia di allora”: ha fatto bene il regista Giacomo Verde a scegliere questa dichiarazione d’intenti, fatta da un’amica di Franco Serantini, per dare il titolo al video che racconta la vita e la morte dell’anarchico ucciso dalla polizia a Pisa, trent’anni fa. Il film ci racconta i tanti modi di essere sovversivi, dalla vita quotidiana – la musica, i consumi, le letture – all’impegno politico – che allora si misurava sulla strada come nelle sedi, in un impegno totale che mescolava pratica pubblica e vita privata, senza far diventare una professione la prima e senza alienare gli interessi personali della seconda. In un’ora di testimonianze raccolte oggi e documenti d’epoca scorre un’Italia che appare mille anni lontana da quella odierna, anche se pure emergono i fili di una continuità per capire come tutto sia cambiato per non cambiare nulla nel potere, nella violenza, nell’oppressione. E persino quei ragazzi invecchiati di trent’anni che raccontano il loro essere sovversivi e il “loro Franco”, alla fine, non sono, nei desideri e nei problemi, così distanti dai loro omologhi del XXI secolo che si ritrovano a Seattle come a Genova, in una fabbrica minacciata dai licenziamenti come in un call-center a alto tasso d’alienazione. Fascino e mistero della storia e della sua memoria. Il contesto in cui vive e muore Franco Serantini è quello di un’Italia che si arrovella negli squilibri sociali e nella modernità, che si porta dentro la mina del proprio peccato originario, quello di una classe dirigente gretta, bigotta, che diventa feroce quando si sente tremare la terra sotto i piedi. Un’intera generazione – con tutte le fratture culturali e politiche che l’attraversavano – cercò di praticare la sovversione – anche nella vita quotidiana – e di preparare il cambiamento (alcuni la chiamavano rivoluzione, altri riforma, ma erano quasi solo delle sfumature): le venne impedito, con la forza e lì iniziarono le tragedie, le scelte suicide, le sconfitte. Che furono personali e collettive. Anche Serantini scelse il suo modo d’essere sovversivo. Quello di un “figlio di nessuno”, di un ragazzo nato a Cagliari e abbandonato in fasce al brefotrofio, adottato all’età di due anni per poi ritornare in un istituto dopo la morte della nuova madre. E, poi, il riformatorio, in un regime di semilibertà che lascia tempo solo allo studio. L’incontro con la politica – prima Lotta continua, poi gli anarchici – avviene quasi naturalmente, nell’Italia di allora. E inizia una nuova vita, fatta di discussioni, della “sede” dove ci si ritrova sempre, del tempo scandito dai ritmi del movimento: riunioni, volantini, cortei, assemblee. L’incontro con gli operai della Saint Gobain minacciati di licenziamento, i “mercatini rossi” al quartiere CEP per dimostrare che i generi alimentari possono costare molto meno di quanto li fa pagare il supermercato o il bottegaio: ogni cosa fa dire che il mercato è una truffa. Corse frenetiche, senza respiro. Tutto il tempo della vita è tempo della politica, perché tutta la vita è politica, anche gli spazi privati, quelli riempiti dalle letture per capire, dai confronti con le vecchie generazioni, a Pisa con la “memoria anarchica”, lì ancora fortissima. E su questo le mannaie dello stato, l’esplosione della strategia della tensione, la perdita dell’innocenza, alla Bussola dove la polizia spara per “difendere il capodanno dei ricchi”, come a piazza Fontana. Agire propositivo e agire oppositivo si mescolano e costruiscono una cultura: vendere le verdure nei quartieri di periferia, occupare le case o diffondere il proprio giornale sono in continuità con uno sciopero, la protesta contro la strage di stato, gli scontri con i fascisti. È un fiume unico e inarrestabile che solo a tratti s’interrompe, quando cala addosso al movimento la violenza dello stato. Quella che stronca Serantini. Il 5 maggio 1972 a Pisa arriva il missino Giuseppe Niccolai, per un comizio elettorale. Lotta continua e gli anarchici organizzano la contestazione – “non deve parlare” – una delle tante degli anni ’70. Ma questa volta non è come le altre: sul Lungarno la polizia carica, Franco Serantini si trova isolato, cade sotto le botte dei celerini, lo lasciano lì a terra, come uno straccio vecchio. Poi lo portano via, in questura, al carcere don Bosco. Viene interrogato, dice di star male, ma il giudice non considera “serio” quel suo malessere. Cade in coma, ma rimane abbandonato nella sua cella e quando lo portano al pronto soccorso del carcere, muore quasi subito. È il 7 maggio ’72. Due giorni dopo viene sepolto. Le indagini sulla sua morte non daranno alcun esito, nessuno verrà giudicato né condannato. Corrado Stajano scriverà un bel libro (Il sovversivo, Einaudi), la memoria di Serantini rimarrà viva a lungo e non solo a Pisa. Almeno fino a quando il buio degli anni ’80 cercherà di avvolgere tutto e rimuovere quel modo d’essere, quello di un ragazzo mite, un po’ miope, studente e lavoratore precario, donatore di sangue, anarchico: “figlio di nessuno”, come dice la lapide che lo ricorda. “S’era tutti sovversivi”, il bel video di Giacomo Verde – prodotto e distribuito dalla Biblioteca Franco Serantini e da “A rivista anarchica” (tel. 02/2896627, e-mail: arivista@tin.it), 15 euro – ne raccoglie la memoria e aiuta a capire il suo tempo. Senza nostalgia. Per comprendere le ricchezze stroncate assieme ai limiti, alle ingenuità e agli errori che altri hanno saputo ben usare. Giovanna Boursier Tratto da “il Manifesto” dell’8/1/2003



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